Ma perché hai fatto questa roba?
Circa 1985 compravo un sacco di riviste per computer. Non c'era internet, abitavo in un paese dell'entroterra ligure, le riviste per computer erano il modo per entrare in contatto con un nuovo mondo che stava arrivando: Paper Soft, Personal Computer, MC Microcomputer, Super Apple e le americane, Nibble, Macworld... Lì trovavamo echi di una rivoluzione digitale che ci stava abbagliando come mai prima nessuna cosa.
Non essendoci internet, non essendoci ancora il cd-rom e non essendo ancora arrivate le cassette, uno dei metodi più comodi per la trasmissione del software era quella di pubblicare i listati. Queste riviste avevano decine e decine di pagine di listati in Basic, Lisp, Assembly.
Io e qualche altro migliaio di persone ci sedevamo ogni mese a fianco del nostro Apple II, del nostro Spectrum, del nostro Commodore e con pazienza ricopiavamo riga per riga tutto il codice dalla rivista al computer. Centinaia e centinaia di linee di listati.
Eravamo degli amanuensi medioevali in un mondo digitale, ricopiavamo e trasmettevamo il pensiero e la progettazione informatica con un metodo rozzo e primitivo, ma funzionale.
Copiando poi, qualcosa si imparava anche.
Un giorno ricopiai o adattai per Apple II un gioco testuale chiamato qualcosa tipo "Hamurabi". Era la sobria simulazione di dieci anni di regno negli antichi sumeri. Si interpretava il sovrano che dettava al suo servo le scelte economiche e agricole per il mantenimento del regno.
Riuscii a farlo funzionare per Apple II e ci giocai anche diverse volte, per capire la meccanica che c'era dietro. Fu un gioco, questo di Hamurabi, che - scopro oggi - risale al 1968, scritto inizialmente in FOCAL e poi reso famoso per un porting in BASIC pubblicato in un libro di programmazione del 1973.
Quello che avevo copiato per la rivista di computer era probabilmente un porting successivo, tradotto in italiano.
Insomma, oggi trovo il listato originale ed è in una pagina che invita, come esercizio, a riscrivere il listato del 1973 in un linguaggio più moderno. E così, nei ritagli di tempo di stamattina, ho iniziato a tradurlo e convertirlo in una pagina HTML e Javascript.
La cosa affascinante di questa cover, è quella del tramandare in qualche modo una idea di codice nata e conservata per cinquant'anni. Pensare al codice non come a qualcosa di strutturale e meccanico, ma come a un codex, un impianto di intelligenza pari a un sonetto, una poesia.
È anche in questo, con buona pace dei tanti discorsi sull'umanistica e l'informatica, in cui si vede il necessario crossover di chi pratica con il digitale e con la storia: anche l'informatica, la telematica sono una storia comune a una e più generazioni. Una storia che ha una sua letteratura, suoi miti, suoi ricordi. Una storia che ha prodotto persone che hanno bisogno e voglia di introitarla, rimangiarla, raccontarla, farla propria.